mercoledì 25 gennaio 2017

Alle mie nonne, dolci abitanti delle case della mia infanzia e del mio cuore.

"Si lasciano mai le case dell'infanzia?
Mai: rimangono sempre dentro di noi,
anche quando non esistono più..."
(F. Ozpetek)


La mia vecchia stanza

Da qualche parte ho letto questa frase che mi ha catapultato indietro nel tempo, nelle case della mia infanzia.
La magia delle parole.
La potenza delle parole.
La casa di mia nonna L. con il giardino grande strabordante di segreti, dove giocavo a fare l'altalena arrampicandomi sull'albero di arance profumate e dove sperimentavo le mie prime pozioni magiche convinta di essere una strega, raccogliendo foglie e fiori che poi mettevo in un pentolone pieno d'acqua recitando parole incomprensibili anche a me stessa, dove osservavo il lento muoversi delle lumache dalle antenne mobili e aspettavo la pioggia per ripararmi con una pianta dal ciuffo simile ad un ombrello.
La casa della mia bisnonna A., il cui vero nome l'ho scoperto da grande, avendola chiamata sempre "nonna Vecchia", precludendole a priori la giovinezza, come se fosse stata sempre così, anziana e con la lunghissima treccia di capelli bianchi arrotolata dietro alla nuca a formare una pallina. Una casa silenziosa e vuota, che si riempiva di odori deliziosi quando lei si metteva ai fornelli, riempendo quella solitudine di calore, quello della cucina e dei suoi profumi che coloravano come d'incanto spazi in bianco e nero.
La casa della bisnonna C., antica come la storia e accogliente, con il divano di pelle sul quale lei e la zia I. mi intrattenevano con le loro storie sull'Inferno, mentre io, attentissima a ogni parola, pizzicavo dolcemente la pelle incartapecorita delle loro mani e mi perdevo nelle narrazioni sussurrate con tono profondo e misterioso. Le loro storie erano così verosimili (o forse la mia fantasia così sbrigliata), che sentivo per davvero l'odore della carne che brucia. Se chiudo gli occhi ricordo benissimo il profumo del loro alito e sento la loro voce.
La casa dove ho vissuto da piccola, con un caminetto bellissimo dove mi piaceva sedermi e guardare il fuoco e le sue mille sfumature. La stanza dove dormivo con la nonna C. che con le sue favole ha reso le mie notti appassionanti, popolando i miei sogni di fantasie e di fantasmi gentili che in qualche modo vivono ancora in questo mio presente e su cui faccio affidamento quando il mondo sembra così banalmente reale e sbiadito, richiamandoli tutti a me a ricordarmi la loro confortante presenza.
La casa dove sono cresciuta e soprattutto la mia stanza, dove tutto ha preso forma, da quella liquida della fantasia infantile si è cristallizzata nella concretezza delle mie scelte di adulta. Una stanza magica, arredata con i mobili della mia bisnonna Teresa (da cui prendo il nome) e satura di libri che trovano posto un po' ovunque in un caos dove solo io ne scorgo l'ordine. È qui che ho letto tutto ciò che potevo, anche quando non avrei dovuto, nascondendo sotto le versioni di latino e greco romanzi e storie del mondo. È qui che ho sognato, ho amato la prima volta, ho sofferto, ho riso, ho pianto, ho scelto. Ed è qui che ogni volta che entro dopo lunghi periodi di assenza, ritrovo il mio odore, misto a quello dei miei libri, amici amatissimi e insostituibili e a quello delle mie cose intrise di storie passate e di sensazioni provate. Perché io sono la somma anche di questi posti, di queste donne, dei loro racconti e di ciò che è stato.
Non si lasciano mai le case dell'infanzia, così come i ricordi. Restano dentro di noi e ci accompagnano per sempre.

🎶 Ascoltando Rüzgar- Grup Gündoğarken

particolare della mia stanza

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